Porgo il saluto, a nome dell’Ordine degli Avvocati, ai famigliari del Collega Paolo Maggi, al Presidente del Tribunale, al Procuratore della Repubblica, ai Magistrati presenti, ai Colleghi, al personale degli Uffici Giudiziari, alla Signora Giovanna Peralma, segretaria storica dell’Avvocato Maggi.
Ci troviamo in quest’aula di Corte d’Assise per rendere il doveroso tributo alla memoria del Collega Paolo Maggi.
Forse alcuni tra di Voi non lo hanno purtroppo conosciuto, ma chi ha avuto la fortuna di conoscerlo non lo potrà mai dimenticare.
Decano del nostro Foro per età anagrafica e per anzianità di iscrizione (avrebbe raggiunto i sessant’anni di toga l’anno prossimo), lascia il ricordo di un’Avvocatura d’altri tempi, che ha insegnato moltissimo ai Colleghi delle generazioni successive.
Per me fu, all’inizio della professione, ahimé molti anni fa, un ideale punto di osservazione per capire come dovessi muovermi nel mare magnum della Giustizia.
Figlio e fratello di medici di importanza storica (al padre Aldo è stata dedicata una via a Cuorgnè, il fratello Giuliano è stato uno dei più grandi chirurghi toraco-polmonari; padre di due figli di cui uno, Nicola, fra i più preparati e stimati tra quelli della sua generazione e non solo, l’altro esperto informatico).
Avvocato per istinto, si era laureato molto presto ed era divenuto avvocato giovanissimo, ad appena ventiquattro anni.
Cresciuto alla scuola di uno dei più eccelsi penalisti eporediesi, Renato Chabod, grande giurista, eccelso alpinista, presidente nazionale del CAI, vice presidente del Senato, seppe assimilare da lui tutto il meglio.
Collega di profonda preparazione giuridica e di grandissima cultura.
Giurista a tutto tondo, si era specializzato nell’infortunistica stradale e nel penale, non disdegnando tutto ciò che l’essere Avvocato di provincia comportava: erano i tempi in cui Paolo lo si poteva trovare impegnato in appassionate e dotte difese in Assise quanto strenuo ma sempre saggio e propositivo procuratore in complesse cause di separazione od in travagliate possessorie od ancora in complessi sinistri stradali.
Uomo di cultura enciclopedica, sapeva gestire le cause ed i processi con grande capacità professionale e sempre con grande rispetto per i Colleghi, con i quali sapeva di dover condividere una professione tanto difficile quanto foriera di soddisfazioni, se esercitata soprattutto con l’amore per il proprio lavoro e con lo stile che era il suo tratto inconfondibile.
I colleghi più intimi ricorderanno certo una sua massima chericomprendeva la sua filosofia di vita ed il suo rispetto per la deontologia “Le cause bisogna sempre cercare di vincerle, ma non bisogna mai maramaldeggiare”.
Due le sue passioni principali: la montagna, che egli amava in modo quasi totalizzante; provetto alpinista: enumerare tutte le vette raggiunte dall’Avvocato Maggi vorrebbe dire trascorrere molto tempo.
Il ricordo più vivo che ho, che unisce la sua grandezza di avvocato e l’esempio raro di abnegazione e di sacrificio che solo gli Avvocati veri sanno dare, è in un processo celebratosi nell’anno 1986 davanti al Tribunale di Aosta in cui difendevo un coimputato e Paolo Maggi, reduce da un grave infortunio in montagna che ne mise in pericolo la vita, affrontò un dibattimento con la gamba ingessata, seduto e con la gamba distesa, dando come sempre il meglio di se stesso.
L’altra sua grande passione è stata la poesia, specialmente quella in lingua piemontese, quella lingua che egli riteneva più sua e più genuina, non disdegnando peraltro di cimentarsi anche in lingua italiana.
Nei due volumi di poesie pubblicati, “La storia a l’è bela” e “Montagne, rime piemonteise”, seppe coniugare in modo mirabile le sue due passioni, tanto da meritare una citazione fra i migliori autori contemporanei in quella pietra miliare della storia della letteratura piemontese scritta dal Camillo Brero.
E come dimenticare le poesie che ha composto in occasione dei nostri incontri conviviali natalizi?
Molti di noi possono vantare di essere stati destinatari di poesie ad personam in occasione di proprie particolari ricorrenze.
Conservo ancora i messaggi che mi inviava ai miei compleanni, l’ultimo il 24 aprile di quest’anno, quando al compimento del mio 65° anno, Paolo Maggi mi ha scritto: “I Latini la chiamavano senectus”.
Ma vi sono altre qualità che Paolo Maggi possedeva, e mi avvalgo a tal proposito anche delle riflessioni del Collega Luca Achiluzzi, che di Paolo Maggi, insieme al suo storico allievo e collaboratore Ferdinando Terrando, fu discepolo e che ringrazio per avermi aiutato a cogliere i tratti essenziali di Paolo, in quanto lavorare con una persona è il modo migliore per conoscerla.
IL RISPETTO DELLE IDEE ALTRUI
Paolo Maggi serbava un profondo rispetto per ogni essere umano, anche quello più distante da lui per cultura, posizione sociale, visione della vita.
Nel rapportarsi, tanto con il cliente quanto con le controparti, egli non si ergeva mai a Giudice, ma cercava di comprendere la persona con cui si trovava a confrontarsi, sforzandosi di immedesimarsi nella prospettiva di quest’ultimo e di coglierne la psiche.
In questa operazione, che presupponeva l’instaurazione di un clima confidenziale, Paolo Maggi era aiutato dalla perfetta conoscenza del dialetto piemontese e, quando l’interlocutore non era indigeno, dalla capacità, affinata nei corsi di dizione, di riprodurne fedelmente l’inflessione dialettale.
Instaurato un rapporto di simpatia (nel senso etimologico greco) con l’interlocutore; dimostrato a quest’ultimo di averne compreso e condiviso sofferenze ed aspirazioni, egli riusciva a trovare gli elementi su cui costruire una difesa; oppure, i punti di contatto per addivenire ad una transazione.
La comprensione ed il rispetto per ogni essere umano, cui egli ispirava il proprio agire, valicavano i confini dell’utilità professionale ed integravano un valore dell’Uomo Paolo Maggi.
“Ricordati bene che compito di un avvocato è smontare la tesi avversaria. Ogni tesi, ogni idea, ogni argomentazione, anche se da Te non condivisa, va rispettata poiché proviene da un essere umano. Puoi, anzi devi, se ciò è necessario per vincere la causa, mostrarne tutti i limiti, in fatto ed in diritto. Ma non puoi, conseguito il risultato, andare oltre: perché finiresti per offendere l’essere umano che quella idea ha espresso”.
Perché il suo valore etico non era stato appreso da un testo di diritto costituzionale; ma era stato metabolizzato quando, ancora bambino, Paolo Maggi aveva assistito agli orrori che accompagnarono la guerra di liberazione. La cruda drammaticità degli episodi di fucilazione aveva scolpito nel codice morale di Paolo Maggi il principio che nessun uomo potesse essere destinatario di atti di violenza o sopraffazione in ragione della proprie idee: ciò, indipendentemente dal relativo contenuto.
IL RISPETTO PRETESO DAL MAGISTRATO
Quale riverbero di tale principio etico, il Maestro esigeva, in modo sobrio, elegante, ma fermo e determinato, rispetto dell’essere umano da parte del Magistrato: inquirente o giudicante.
IL RISPETTO PRETESO DALL’AVVOCATO
Al rispetto che Paolo Maggi pretendeva dai Magistrati faceva pendant il rigore formale con cui egli pretendeva gli avvocati si presentassero in udienza.
Paolo Maggi aveva un rispetto ieratico per il rito della giustizia e non poteva tollerare atteggiamenti che turbassero la sua sacralità: un operatore di giustizia non curato nell’aspetto, oppure abbigliato in modo trascurato od inopportuno, era da lui considerato sprezzante del proprio ruolo e del proprio interlocutore.
LA PREPARAZIONE CULTURALE
Coerentemente al principio secondo cui lo stile è l’abito dei pensieri, Paolo Maggi riteneva che l’Avvocato dovesse essere fornito di una profonda cultura, non circoscritta al sapere giuridico.
Ricordano i suoi praticanti che egli in risposta alle domande che insistentemente gli ponevano su questioni di natura giuridica, replicava, rivolgendo loro a propria volta, curiosi interrogativi, quali: “Che differenza c’è tra un piede ionico ed un endecasillabo saffico?”.
Egli cercava di far comprendere come, prima di apprendere gli istituti giuridici, essi avrebbero dovuto imparare ad esprimersi con la padronanza e l’eleganza richieste ad un avvocato: padronanza ed eleganza espressive che avrebbero potuto acquisire solo tornando a leggere i testi dei classici.
IL RISPETTO PRETESO DAL CLIENTE
Paolo Maggi riteneva che anche il compenso corrisposto all’avvocato fosse un parametro essenziale ai fini della misura del rispetto rivolto dal cliente o dal collega.
I colleghi rammentano la cura e la precisione con cui egli attendeva alla redazione delle proprie parcelle, largo di consigli per i colleghi che del tariffario avevano conoscenza sommaria.
Ricordano anche, però, di come sapesse graduare l’entità del compenso in considerazione delle condizioni sociali e morali del cliente.
Critico verso chi dava al denaro un’importanza eccessiva (ricordo una sua frase: “Bisogna sempre capire che importanza la persona dà al denaro”), sapeva essere generoso con chi in buonafede gli rappresentava le proprie difficoltà economiche.
Questo è stato l’avvocato e l’uomo Paolo Maggi.
E per ricordarlo, infine, credo di rendere onore alla sua memoria leggendovi una sua poesia che, fra le tante, a mio avviso rende palpabile la profondità del suo sentire e l’amore per le montagne che mi pare proprio il suo testamento spirituale.
E’ in lingua piemontese, quella che egli considerava più sua, macredo sia comprensibile anche a chi non ha dimestichezza con essa.
I suoi libri di poesia si saldano, per uno strano gioco del destino, con la vita di un altro grandissimo avvocato eporediese Gianni Oberto, che del libro di poesie “La Storia l’è bela” ha scritto la prefazione, o meglio, morì mentre la stava scrivendo. Scrive Gianni Oberto: “Sono narrate da un poeta che ha sicura dinnanzi a sé la sua strada, sempre più attento e profondo, un tantino amaro, con talune venature tra ironia e satira, non sfiduciate, nemmeno quanto più di altra volta parrebbe esserlo, come in “La sepoltura” alla quale tengono dietro “Bambin Gesù” e “Vive”. Sono argomenti che altri trattò: ma leggetevi “L’aragn e la mosca” per ricavare la prova che ogni poeta ha la sua poesia, cioè il suo modo di sentire e di esprimersi: il suo modo di essere: il suo mondo”.
E cita un passaggio della poesia che esprime il disincanto verso una giustizia non in grado di essere veramente giusta.
“Giustissia giusta! Fàula da masnà, speransa desfiorìa, ilusion lontan-a…”
Torna in mente ……
Ivrea, gennaio 1980
Gianni Oberto”
Qui si chiude la prefazione.
E poi scrive Paolo Maggi:
“Qui termina, in bozza, messami a disposizione dal figlio Giorgio, il manoscritto dell’avv. Gianni Oberto, mancato in Ivrea il 12.1.1980, mentre ancora attendeva alla promessa presentazione del mio jlibro; e così l’ho voluta, intatta ancorchè incompleta, per dedicare a lui il mio volume.
Paolo Maggi”
La poesia che vi leggo è “Testament”
“Prima ed meuire el parin
L’ha fàit ciamè ij so fieuj,
quand ch’a son stàit davzin
a l’ha guardaje ant j’euj:
- Lasso a vjàutri le feje
Ch’a-i è ansima a le rive,
feme el piasì, guerneje,
l’eve mach lòn per vive.
Lasso sta ca ch’am pias;
lassela nen drochè;
l’eve mach lòn, matass,
per podeje cogè. –
A slumavo ij masnà
Ch’a lo sentio parlé,
ma chiel con l’ùltim fià:
- I deve nen pioré:
lasso un tesòr che al mond
a-i è gnun ch’al vadagna! –
… e con l’euj moribond
l’ha guardà la montagna”
Con questo, rinnovo ai Famigliari a nome di tutti le condoglianze per una perdita che lascia il nostro Foro più povero.